Tutto su Ruth
(Tradotto e pubblicato da Gian Carlo Cappello per gentile concessione dell’autrice)
di Sandra Knauf
Direttrice di Greenwoman Publishing, LLC.
Autrice dei libri: Zera and the Green Man and Please Don’t Piss on the Petunias
E’ il 1975 e Ruth Stout, fresca novantenne, viene filmata a casa sua. Spiega il programma della sua giornata, quante ore al giorno lavora per mantenere, raccogliere e congelare il cibo da un orto di 200 m² dove coltiva verdure a sufficienza per due persone. Non entra in un negozio di alimentari da quattordici anni. Ha anche alcune aiuole fiorite di cui occuparsi, sbriga tutte le faccende domestiche, cucina e, poiché è una scrittrice piuttosto conosciuta, risponde a molte lettere.
La notizia che ha dell’incredibile è, come lei dice, che non fa mai niente di tutto questo dopo le 11:00 del mattino:
“Adesso mi chiederai a che ora mi alzo. La mia risposta è: tra le sei e le otto, a seconda di quando ne ho voglia. E la prima cosa è una lunga e tranquilla colazione alla romana stesa sul divano, ma riesco comunque a portare a termine tutto quanto entro le 11:00 del mattino o poco più”.
E poi rivela il suo segreto, il segreto che l’ha resa famosa:
“Il motivo per il quale posso permettermelo è che non devo mai arare, vangare, smuovere o zappare la terra; non diserbo, non do concimi chimici e non somministro pesticidi. Non ho il cumulo del compost e non annacquo. Io pianto e raccolgo. Se posso permettermi di non fare tutto questo lavoro è perché mantengo il terreno coperto tutto l’anno con pacciame di fieno, il quale decomponendosi arricchisce il terreno, contiene le erbacce e mantiene soffice la terra. E questo è tutto quello che c’è da fare “.
Consiste in questo, in poche parole, il famoso metodo di orticoltura “senza lavoro” di Ruth Stout. Naturalmente non è proprio così facile, bisogna pur comprare e sistemare il fieno, poi ci sono altri aspetti inevitabili della coltivazione: la manutenzione delle strutture, difendersi dagli animali selvatici, strappare l’erba infestante, etc. Ma Ruth Stout chiosa: “Il mio metodo di orticoltura senza lavoro è molto vicino a questa affermazione”.
Ho scoperto il suo sistema per la prima volta negli anni ’90 quando iniziai a interessarmi di coltivazioni. Ancora non avevo un orto-giardino, ma ero ansiosa di imparare. Non avendo riferimenti consultai le biblioteche e cercai librerie specializzate (questo nell’era pre-YouTube). Fu così che rintracciai l’opera completa di Ruth Stout.
Seppi allora che il suo primo libro: “How to have a Green Thumb without a Aching Back: A New Method of Mulch Gardening” (pubblicato per la prima volta nel 1955 da Exposition Press) era stato ristampato per decenni vendendo decine di migliaia di copie. Ruth ha scritto altri due libri sull’orticoltura: il secondo è un’estensione del primo e il terzo è una raccolta di articoli e saggi da lei redatti nel corso degli anni per la rivista Organic Gardening and Farming.
Scavando nel lavoro di Ruth scoprii non solo saggi insegnamenti, ma anche una valida mentore. Era, come il suo sistema, naturale al 100%, schietta e divertente. Se lei c’è riuscita, puoi farlo anche tu! Ne restai decisamente agganciata! Da allora ho adottato il metodo della pacciamatura nelle mie coltivazioni.
Il primo libro di Ruth Stout uscì quando lei aveva più di sessant’anni, durante gli anni ’50, un periodo nel quale l’agricoltura industriale e il consumismo americano stavano prendendo il sopravvento. Ora, immagina quel periodo: marketing di massa in stile Mad Men, cibo sempre meno incentrato sulla nutrizione e rivolto a prodotti di nuova concezione, tutti promossi in quel decennio, come Cheez Whiz (un marchio di formaggio a pasta fusa spalmabile distribuito dalla Kraft Foods. N.d.T.), Eggo waffels (cialde della ditta Kellogg, al sapore di uova. N.d.T), bastoncini di pesce della Mrs. Paul’s (marca statunitense di surgelati.N.d.T.), da consumare a cena davanti alla TV. I prodotti per la coltivazione amatoriale erano i nuovi fertilizzanti chimici, insetticidi killer o i nuovi macchinari con il motore a scoppio che avrebbero dovuto semplificare il lavoro. Possiamo comprendere come Ruth contasse tra i suoi detrattori tutti coloro i quali consideravano i suoi metodi troppo semplici e fuori dal comune. L’America voleva guardare avanti, non tornare indietro.
Decisi di scrivere sulla mia coltivatrice preferita, l’eroina dei miei primi tentativi, quindi andai a rileggere i libri della Stout e mi tuffai anche nei suoi scritti dedicati ad altri argomenti (ha scritto un totale di nove libri in vent’anni, tutti autobiografici, ma solo tre sulla coltivazione, argomento per il quale è più conosciuta). Avvicinandomi al suo lavoro avevo finalmente trovato la mia prima vera guida.
Riguardo la coltivazione dell’orto Ruth Stout è stata una delle scrittrici più note in America nel secolo scorso, ma era soprattutto una persona libera, autosufficiente, originale. Chiedo a quelle di noi che navigano nella vita… già da qualche decennio: riuscite a ricordarvi di un’altra donna, nata in epoca vittoriana, capace di dichiarare di non aderire al Movimento delle Donne (negli anni ’70) perché “si sentiva già libera dalla nascita?”.
Ecco a voi: Ruth Stout.
Tale madre, tale figlia.
Ruth Stout nacque a Girard, Kansas, il 14 giugno 1884. Era la quinta di nove figli nati dai genitori quaccheri John Wallace Stout e Lucetta Elizabeth Todhunter Stout.
Suo padre era un insegnante, poi divenne preside e per molti anni fu il sovrintendente della contea delle scuole nella loro zona. I genitori di Ruth avevano un’istruzione superiore e la famiglia apparteneva alla classe media, ma con così tanti figli non vivevano in condizioni agiate. Tuttavia John Stout si concedeva una biblioteca di 5.000 libri, cosa della quale tutti i figli della famiglia Stout trassero beneficio. Ruth racconta che sua madre una volta commentò: “John non ha mai posseduto nient’altro che libri e figli” e Ruth ci conferma quanto ciò fosse vicino alla realtà.
Ruth era sveglia e intelligente, ma la leader era sua sorella maggiore May, mentre la sorella minore Juanita attirava l’attenzione su di sé per l’avvenenza. E poi c’era la sorellina Mary. Ruth seppe fin dalla più tenera età che avrebbe dovuto distinguersi in qualche altro modo dalle sorelle. Le piaceva scrivere e diceva che, come liceale, era molto “spavalda e scriveva i saggi per molti dei suoi compagni di classe”. Ci racconta la storia di una ragazza che le chiedeva così spesso di aiutarla tanto da esasperarla, così le scrisse un testo su quanto “ignobile, disonorevole (e altri aggettivi simili) fosse presentare un tema che non avesse scritto di suo pugno”. Ruth era sicura di essersi liberata del problema, ma la ragazza presentò davvero il saggio trovandolo divertente e continuando addirittura a tormentarla per ricevere ulteriore aiuto.
Senza dubbio la persona che ha avuto la maggiore influenza su Ruth fu la madre. Lucetta Stout viene spesso menzionata nei libri di Ruth ed è il soggetto della biografia As We Remember Mother, del 1975. Ruth racconta che sua madre era “una casalinga e una cuoca mediocre” (un aspetto nel quale Ruth avrebbe poi ammesso di riconoscersi, come nel comune vegetarianesimo), che non rimproverava mai i suoi figli, ma che sapeva come usare la ragione e la gentilezza per faresprimere loro il meglio di sé. Lucetta Stout era profondamente religiosa, non giudicava gli altri ed era una veemente pacifista, non andava spesso in chiesa e non imponeva mai le proprie convinzioni. Ruth afferma di aver semplicemente fatto propria la convinzione quacchera secondo la quale ognuno farebbe bene a seguire la propria “voce interiore”, la propria coscienza. Questa “voce”, secondo i quaccheri, cambia e cresce man mano che ogni individuo si dirige (o almeno così si spera) verso una “comprensione più completa” nel viaggio della propria vita.
La madre di Ruth alimentava la scintilla creativa in tutti i suoi figli, ad esempio incoraggiandoli nella passione per il teatro quando riproponevano scene di commedie che avevano visto e persino a scriverne e produrne di proprie. A Topeka le commedie dei ragazzi della famiglia Stout divennero così popolari che quando mettevano in scena spettacoli riempivano anche 50 sedie per volta. Gli Stout continuarono per decenni a organizzare rappresentazioni per il proprio divertimento e molti di quei bambini rimasero appassionati a varie forme di intrattenimento anche nell’età adulta. Questo ambiente culturale iniziale così stimolante ne spinse molti a scrivere in modo professionale e il fratello minore di Ruth, Rex Stout, divenne uno scrittore famoso (è l’autore della saga letteraria dell’investigatore Nero Wolfe, scritta tra il 1934 e il 1975).
Malgrado la famiglia vivesse nella rigida e detestabile era vittoriana, la madre di Ruth non si faceva problemi nello svolgere attività come giocare a carte o andare a ballare, tali da far sollevare sdegnosamente le sopracciglia dei benpensanti. Scrive Ruth: “Bisognava conoscere mia madre piuttosto bene per comprendere come non seguisse nessuna regola (nemmeno quelle di Dio) senza averci prima riflettuto bene per scoprire se anche per lei avevano un senso”.
Sulla strada per New York
Dopo il diploma di scuola superiore, Ruth prese in considerazione l’idea di unirsi a un gruppo di teatranti vaudevilleitineranti il cui spettacolo si incentrava sulla lettura del pensiero. I suoi genitori non intervennero sebbene alcuni membri della famiglia fossero preoccupati per questa scelta (soprattutto perché il veggente che la voleva come assistente sembrava avere disegni disonorevoli riguardo la giovane Ruth). Quando un’amica di Lucetta Stout l’affrontò su questo, lei le rispose che se non poteva fidarsi lei stessa dei propri figli, chi altri l’avrebbe potuto fare? Secondo quanto ci viene riferito, aggiunse sorridendo: “Comunque non devi preoccuparti per Ruth, non lascerà sicuramente che un uomo la baci finché non sarà sposata e non si sentirà al sicuro con lui”.
Ruth sentì. Racconterà: “Restai a bocca spalancata per lo stupore”. Era vero, non aveva mai baciato un ragazzo e restò scioccata dal fatto che sua madre sapesse di quell’intimo impegno che aveva preso con se stessa.
Ruth lasciò la troupe teatrale, ma due anni dopo decise di incamminarsi verso New York con il fratello Rob e la moglie Esther. A Topeka la coppia si era mantenuta con la lettura delle mani (Ruth riconobbe poi che si trattava di una truffa, che tutti in famiglia ne erano a conoscenza inclusa sua madre la quale, anche in questo caso, “non disse una parola”).
A Kansas City il trio era rimasto senza soldi e Ruth riuscì a trovare lavoro come bambinaia. Fu lì che ricevette la sua prima lezione sul sistema classista americano. Il primo giorno di lavoro portò il bambino a letto e poi si offrì di aiutare in cucina. La cuoca le chiese di apparecchiare la tavola, ma Ruth commise un grave sbaglio che sbalordì la padrona di casa: preparò un posto per sé e per la cuoca alla tavola di famiglia. Ruth racconta inoltre che una volta si stava facendo il bagno quando la padrona bussò dicendole di non usare la sua vasca. Allora si scusò e chiese dove poteva trovare un’altra vasca da bagno per sé. “Questo sconvolse la padrona, ma, visto che non ce n’era una per me, dopo essersi schiarita la gola alcune volte mi disse che potevo continuare a usare la sua, ma di lasciarla molto ben pulita”.
Poco tempo dopo i tre lasciarono Kansas City e arrivarono a Indianapolis. Fu attorno a Natale. Anche qui ebbero problemi economici perché non era facile vendere predizioni del futuro durante le festività natalizie (con sorpresa scoprirono che le persone erano più preoccupate per l’acquisto di regali). Ruth trovò lavoro in un grande magazzino e poi, passato il periodo natalizio, fu assunta nella compagnia telefonica. Poco tempo dopo suo padre, che aveva lasciato il lavoro scolastico ed era diventato rappresentante di commercio, la madre, il fratello Donald e la sorellina Mary vennero a vivere a Indianapolis. In un libro scritto più tardi Ruth fa notare che il fratello artista della truffa, il quale impegnava costantemente l’anello della moglie durante le peregrinazioni, dimostrò poi di saper diventare un “cittadino ricco e onesto”.
Il pellegrinaggio verso New York subirà un ritardo a Indianapolis per i cinque anni a venire. Nel 1909 morì la figlia maggiore della famiglia Stout. May aveva otto anni in più di Ruth, che la considerava una “seconda madre”. “Un giorno abbiamo ricevuto un telegramma dove si comunicava che May era morta nel sonno. Non ho mai amato nessun altro nel modo in cui ho amato lei. E questo è tutto quello che voglio dire al riguardo”. In un altro libro Ruth confesserà poi di essersi sentita devastata non solo dalla perdita, ma anche dal senso di colpa. May, che aveva recentemente visitato l’Indiana, aveva chiesto a Ruth di aiutarla a trovare un lavoro presso la compagnia telefonica in modo che anche lei potesse trasferirsi a Indianapolis.
Sebbene avesse recentemente iniziato a praticare medicina in Colorado, aveva avuto problemi con il medico con il quale stava esercitando e sapeva che quella collaborazione si sarebbe presto sciolta. Ruth, giudicando che la sorella fosse molto dotata per quella professione e che dovesse rimanere in quel settore, non volle che andasse a vivere con loro e si rifiutò di aiutarla. Per questo Ruth visse nel senso di colpa finché sua madre non le parlò. Lucetta Stout le disse che se anche chi non crede nell’immortalità, sicuramente potrà credere che i ricordi tengano viva una persona cara nella propria mente e nel cuore. Aggiunse che sarebbe stato un peccato se i tanti bei ricordi di May fossero rimasti oscurati da questo malinteso. Ruth scrisse poi: “E questo mi diede forza”.
New York City
Subito dopo la morte di May la famiglia si trasferì a New York. La loro nuova casa si trovava in un edificio di quattro piani, in pietra arenaria, sulla West 118th St., a meno di un isolato dal Morningside Park (progettato dal famoso paesaggista americano Frederick Law Olmsted). Ruth avrebbe vissuto a New York City per i prossimi vent’anni.
Durante il primo anno, prima di inserirsi socialmente, durante la cena della domenica la famiglia si intratteneva declamando a turno discorsi improvvisati o leggendo ognuno ad alta voce i propri scritti su un argomento prestabilito. Alcune di queste poesie e di questi saggi erano così divertenti da venir pubblicati nei giornali locali.
Ruth e sua madre partecipavano a sedute spiritiche. Si trattava di raduni motivati dalla convinzione che i morti potessero comunicare con i vivi; furono molto popolari dalla seconda metà del 1800 sino agli anni ’20. Vi partecipavano soprattutto donne della classe medio/alta, molte delle quali sostenitrici del movimento per il suffragio femminile e, ancor più, del movimento abolizionista. “Mia madre e io rimanemmo entrambe affascinate dagli incontri spiritualisti”, scive la Stout. “Prima dell’arrivo della TV e della radio se eri uno straniero e non eri ancora bene introdotto a New York andavi in chiesa o partecipavi a una riunione spiritualista “.
Alla madre di Ruth piaceva mantenere la mente aperta su tutto, socialmente approvato o meno, e durante gli anni di New York esplorò i temi della psicoanalisi, dell’ipnosi, della chiropratica (che allora era una novità), della guarigione magnetica e altro ancora. Non era mai, come dice Ruth, “una fanatica” per nessuna di queste materie, ma la sua filosofia era che ci può essere qualcosa di buono in ogni cosa e che tutti gli studi e le esperienze portano a una più ampia comprensione della vita.
La famiglia acquistò a rate un pianoforte meccanico a rullo. La loro casa era scarsamente arredata, ma spaziosa. Il pianoforte fu installato in una delle stanze al secondo piano che era “immensa” e fu soprannominata “la sala da ballo”. Un’altra stanza del secondo piano fu chiamata “la biblioteca”. Ruth ricorda quegli anni in cui la loro abitazione era sempre piena di gente giovane, compresi i fratelli e le sorelle con i loro figli, i tanti balli e le feste.
A casa tutti avevano un lavoro tranne Donald che frequentava il liceo. A lui sarebbe stato poi permesso di abbandonare la scuola per seguire la sua passione, la zoologia. Ruth, che non frequentò mai il college, scriverà in seguito: “Mamma e papà avevano entrambi frequentato l’università, ma i loro figli non erano propensi a perdere tempo standosene seduti in un’aula, mentre la vita era proprio lì sulla soglia a sfidarci di uscire per vedere cosa avremmo potuto farne”. In seguito esprimerà un’opinione meno radicale: “Credo che molti giovani si diplomino senza aver appreso nulla di significativo per la loro vita. E scommetto che anche coloro i quali ottengono qualcosa di concreto e duraturo dagli studi avrebbero conseguito qualcosa di altrettanto utile se avessero speso quei quattro anni in un altro modo…”.
In effetti tutti quei bei ragazzi pieni di vita ebbero vite interessanti e produttive; molti di loro raggiunsero la fama e/o il successo finanziario. Il fratello di Ruth, Rex, lo scrittore di gialli (che fu anche un bambino prodigio in matematica) e suo fratello Robert idearono all’inizio del 1900 un sistema bancario inerente la scuola. Si trattava di un programma di cooperazione tra banche e scuole per incoraggiare i giovani a risparmiare; l’idea rese loro abbastanza soldi da permettere a Rex di trasferirsi a Parigi e di scrivere a tempo pieno. Pochi anni dopo Robert diventò un banchiere.
Ruth Stout trascorse la maggior parte degli anni a New York lavorando in vari uffici e scrivendo occasionalmente per varie pubblicazioni. Intorno ai trent’anni si guadagnava da vivere, più o meno, scrivendo racconti e fu allora che decise di avviare una sua attività: una sala da tè. Con un amico aprì il locale “Will ‘O the Wisp”, ma presto scoprì che non produceva un reddito sufficiente per tutti e due. Ruth allora si avventurò da sola nell’apertura di un’altra sala da tè, che chiamò “The Klicket”. Spiegò poi di aver impegnato nell’impresa tutto il suo capitale, circa l’equivalente di $ 1.000 odierni. La sala da tè si trovava in un edificio “tetro” e “fatiscente” del Greenwich Village, ma Ruth disse che “puzzava di atmosfera”. Durante quel periodo successivo alla prima guerra mondiale le sale da tè del Greenwich erano un luogo di ritrovo per artisti e altre persone interessanti di ogni tipo e Ruth si fece molti amici.
Forse la sua più grande difficoltà durante gli anni di New York fu quando suo fratello Donald, il più giovane dei ragazzi Stout, contrasse la tubercolosi. Morì quando aveva solo 19 anni. Ruth ci riporta come sua madre visse la situazione quando disse al medico, anch’egli sconvolto dall’accaduto: “Io non l’ho perso”.
Più tardi Ruth raccontò di aver passato il periodo più difficile della sua vita, più che in qualsiasi altro momento, quando aveva vent’anni: ebbe tanti episodi di disperazione e persino pensieri di suicidio. Una volta osservò, sulla giovinezza in generale: “Cosa c’è di così meraviglioso nella giovinezza? I piccoli polli sono carini, ma non possono deporre le uova; i gattini sono adorabili ma non sono saggi come i gatti e anche le piante devono crescere prima di fiorire”.
Ruth la ribelle
I lavori di Ruth a New York furono anche come contabile in un grande magazzino, segretaria, caporeparto aziendale e operaia in fabbrica. Confesserà poi di aver fatto carriera come contabile solo dopo che il fratello Rex la spinse a pretendere una retribuzione più alta rispetto alle altre “ragazze d’ufficio”. Aggiunse che l’avrebbe sostenuta economicamente in caso di necessità. Ruth fu in grado di portare la situazione fino all’estremo e alla fine fu promossa a capo del suo reparto, diventando responsabile di altre undici “ragazze” (le lavoratrici a quel tempo erano comunemente chiamate così: “le ragazze”.)
Gli affari della ditta andavano a gonfie vele e tutti/e lavoravano molto duramente, facendo straordinari senza retribuzione aggiuntiva durante l’alta stagione. Per questo motivo Ruth pensò che sarebbe stato giusto consentire alle ragazze di poter prendere, almeno occasionalmente, qualche ora libera per le commissioni personali nella bassa stagione. Per questa rivendicazione Ruth perse quasi il lavoro. Chiese al suo supervisore se gli pareva logico che le lavoratrici si attenessero tutto l’anno all’orario normale ritrovandosi così col lavoro lasciato a metà durante l’alta stagione, per poi avere le maestranze inattive quando il lavoro diminuiva (l’orario era dalle 8:30 alle 18:00, talvolta anche più lungo nell’America pre-sindacale). Vinse la battaglia e poté fare le cose a modo suo. Avvenne poi che il direttore prendesse l’abitudine di entrare e starsene lì in piedi a fissare le donne (il che le rendeva molto nervose); per dissuaderlo Ruth iniziò a chiedergli di aumentare le paghe ogni volta che lui si faceva vedere. Ruth descrive il suo ufficio come un “regno indipendente” nel quale “portavamo a termine il lavoro in tempo e correttamente, ma oltre a questo lo gestivamo esattamente come tornava meglio a noi”. E tutto ciò durò per sette anni.
Ruth scriverà poi: “Non mi sorprende che lui e gli altri capi non abbiano interferito con noi; evidentemente hanno percepito la cosa come un dato di fatto, sebbene io e il mio staff non ne avessimo mai discusso. Ed era proprio questa la nostra forza: eravamo unite e conoscevamo il nostro potere. Quello che mi ha sorpreso è stato che sebbene tutti gli altri reparti della ditta fossero molto invidiosi di noi, nessuno abbia tentato di emularci”.
Aggiunse poi che questa esperienza, tra le altre, le insegnò quanto fosse sbagliato sottomettersi quando non ci si trova d’accordo su qualcosa (a meno che tu non abbia scelta) e, cosa più importante, le fece capire l’importanza di far valere sempre e comunque le proprie ragioni.
In occasione di un lavoro successivo Ruth mentì affermando di avere una laurea, in modo da poter fare domanda per dirigere un ufficio con venti ragazze addette alla vendita di annunci per un giornale. Per giustificare la sua bugia spiegò di essere a conoscenza di ciò di cui il datore di lavoro voleva veramente assicurarsi, cioè che i candidati fossero alfabetizzati. Lei certamente lo era, anche più di molti laureati. Il carico di lavoro era “incredibilmente leggero”, tanto da poter scrivere dalla sua scrivania pezzi per altre pubblicazioni. Questo durò fino a quando non fu scoperta e licenziata. In seguito scrisse una storia su quell’esperienza e una rivista a cui la presentò la rifiutò definendola “troppo inverosimile”.
La sua autobiografia esprime molta eccentricità, come il mangiare solo cibi crudi per risparmiare tempo o accettare per un anno un lavoro monotono e sottopagato solo perché riteneva giusto che tutti sperimentassero il lavoro in fabbrica, visto che tutti usiamo prodotti provenienti da lì. In quell’anno, nel quale era “annoiata fino alle lacrime ogni giorno”, il lavoro di Ruth era quello di riempire un barattolo di colla (la società produceva buste). Dirà poi che per il resto della sua vita le rimase un’avversione alle buste, preferendo usare le cartoline per la propria corrispondenza.
L’amore della sua vita
I suoi scritti e i suoi racconti sembrano provare come la promessa adolescenziale di non baciare un uomo fino a quando non fosse stata sposata sia stata messa alla prova solo quando Ruth arrivò a circa 30 anni. Anche se aveva dei corteggiatori erano tutti lontani dal “principe” che stava aspettando. E quando arrivò, il suo principe portava con sé un problema da risolvere. Ruth vide Fred (Alfred) Rossiter per la prima volta quando questi entrò nella sala da tè con la moglie accanto.
Fred confesserà poi che per lui fu amore a prima vista; così iniziò a visitare il locale regolarmente e non passò molto tempo prima che lei scoprisse di ricambiarlo. Ruth scrive che Fred aveva un matrimonio da molto tempo infelice e che quando la incontrò chiese il divorzio a sua moglie: “…lei rifiutò, inclusi svenimenti e cose simili. Ci siamo visti un paio di volte per poi subire una triste separazione”. Ruth aveva il cuore spezzato. I due non si videro più per sette lunghi anni, addirittura senza scambi epistolari.
Appena un anno dopo quella separazione, nel 1923, Ruth, ancora innamorata, stava parlando con sua madre della propria passione per Dostoevskij e per i romanzieri russi, quando la madre le suggerì di visitare la Russia. I quaccheri erano già là e stavano soccorrendo le popolazioni durante una grave carestia (che nella regione tra il Volga e il fiume Ural causò due milioni di vittime tra il 1921 e il 1923. N.d.T.). La madre era convinta che Ruth potesse recarsi lì come volontaria. A questo suggerimento Ruth sussultò e nel giro di un mese era già in viaggio. Scoprì di amare il popolo russo, che descriverà poi come gentile e disponibile e non “così limitato da regole di comportamento come lo sono gli americani”.
Ruth restò impressionata dalla povertà alla quale dovette assistere. Lavorava presso la Casa dei Bambini a Grachovka, che si prendeva cura di circa duecento orfani. Questi bambini avevano perso i genitori a causa della fame (nella maggior parte dei casi i genitori avevano sacrificato il proprio cibo per salvar loro la vita) e, come spiegò Ruth, ora venivano accuditi dai quaccheri. Ciò che colpì Ruth (a novantuno anni ancora si emozionava a ricordarlo) fu che questi bambini, non avendo altro a disposizione, usassero le etichette delle lattine di cibo americane per abbellire le loro pareti. Non perché avessero fame, ma non avevano nient’altro di decorativo.
Questa esperienza fu uno degli eventi che trasformarono la vita di Ruth Stout. Mantenne sempre una speciale predilezione per il popolo russo e dimostrò scarsa tolleranza verso coloro che lo criticavano durante la Guerra Fredda. Quando emergeva l’argomento, Ruth chiedeva se l’interlocutore avesse mai effettivamente visitato la Russia. Senza fallo, la risposta era no. “Il mio consiglio a chiunque critichi la Russia”, scriverà poi, “è di non passare il tempo a preoccuparsi della casa sporca del vicino: tira fuori la scopa e pulisci prima la tua”.
Quando tornò dalla Russia suo fratello Rex pensò di poterla distrarre dal pensiero di Fred Rossiter (che regnava ancora nel suo cuore) impegnandola nel movimento socialista, che all’epoca era molto popolare negli Stati Uniti (per inciso, l’interesse di Rex Stout per la sinistra, che includeva la leadership della Authors League of America, gli avrebbe fatto guadagnare un “menzione” negli schedari di J. Edgar Hoover dagli anni ’30 in poi).
Questa distrazione funzionò e Ruth quell’anno trascorse un paio di settimane in un campo estivo per attivisti socialisti e sindacalisti organizzato dalla Rand School. Al campo Ruth cadde sotto l’incantesimo del noto oratore socialista Scott Nearing, che teneva conferenze sulla Russia. I due si avvicinarono grazie all’amore condiviso appunto per la Russia e per il comune vegetarianesimo . Presto si innamorarono l’uno dell’altra. Sfortunatamente anche Nearing, come Rossiter, era sposato. Ruth scriverà nel suo ultimo libro, pubblicato quando aveva novantuno anni, cioè quindici anni dopo la morte del marito, che si erano scambiati solo qualche bacio, ma nient’altro.
Durante la partecipazione al campo Ruth si accorse quanto i capi socialisti fossero degli ipocriti riguardo alla coscienza di classe. Ad esempio proclamavano il credo: “A ciascuno secondo le proprie capacità, a ciascuno secondo le proprie esigenze”, ma come lei osservò l’addetto all’ascensore (che aveva tre figli e una moglie malata) riceveva una paga molto inferiore rispetto ai quadri dirigenti. Oltre a questo, agli aiutanti venivano serviti pasti diversi dai capi. Fu delusa dal movimento definendosi, malgrado l’età, troppo ottimista e ingenua. “Avevo pensato di aver finalmente trovato un gruppo di persone che seguisse davvero le proprie regole morali”.
Durante questa fase della sua vita si rese anche conto che le piaceva “il tempo libero più dei dollari”, così ottenne un lavoro part-time, accettò di vivere in modo frugale e scoprì il gusto di essere libera di fare ciò che le piaceva per il resto della giornata. E quello che le piacque fare fu di lavorare gratis per Nearing e come segretaria a tempo pieno non pagata per la rivista socialista The New Masses. Sebbene provasse sentimenti per Nearing, Ruth scrisse che il romanticismo non era la sua motivazione. Stare con lui era “molto piacevole, ma per lei la parte più interessante erano le sue conferenze e i dibattiti”.
Come era avvenuto con i socialisti, Ruth ebbe la stessa intuizione con i “liberali”. Una volta andò al The Liberal Club di New York, dove trovò molti millantatori e pensò tra sé: “Non sono diversi dal resto del gregge… La mia ipotesi era che mentre disprezzavano coloro che non vogliono essere da meno dei vicini di casa, acquistando una certa marca di auto e via di seguito, in realtà stessero facendo esattamente la stessa cosa, mostrando di considerare se stessi come l’essere umano “modello”. Suppongo che avrei dovuto immaginarlo, ma non gli avevo dato sufficiente peso”.
Sette anni dopo la loro separazione Ruth scrisse una lettera a Fred (come afferma nella sua autobiografia non era animata da secondi fini, ma voleva semplicemente sapere come stesse) e scoprì che lui aveva lasciato la moglie. I due si rividero, scoprirono di essere ancora innamorati e tornarono insieme. Ci vollero altri tre anni e molte difficoltà prima che Fred ottenesse il divorzio ufficiale.
Ruth scrive che dopo il ricongiungimento trascorreva nell’appartamento di Fred la maggior parte del tempo, anche se “ufficialmente” viveva nella propria casa. I suoi genitori erano a conoscenza della situazione (piuttosto scandalosa negli anni ’20), ma sua madre non commentava. Un giorno Ruth non ce la fece più e si aprì con lei: “Temo che tu sia preoccupata per me e Fred, mamma, ma non è forse vero che, nella tua vita, quand’eri convinta di fare la cosa giusta perseveravi, anche se il mondo intero pensava il contrario? Beh, per tua sfortuna tua figlia sotto questo aspetto è esattamente come te”. Dopodiché i coniugi Stout visitarono la coppia nell’appartamento di Fred. In effetti Fred e Lucetta Stout diventarono poi grandi amici. Ruth e Fred si sposarono nel giugno del 1929. Ruth aveva 45 anni.
La vita in campagna con Fred
Il crollo del mercato azionario del 1929 colpì duramente tutti, compresi gli sposi novelli. All’inizio del 1930 si trasferirono a Poverty Hollow, alla periferia di Redding (CT), in una fattoria di circa 22 ettari per godersi una vita più serena da pensionati. Come molti in quel periodo ritenevano che in campagna sarebbe stato possibile vivere con meno assilli.
Quella primavera la Stout piantò il suo primo orto e cominciò ad adattarsi alla vita coniugale con Fred. Ruth aveva vissuto senza vincoli per decenni e ora doveva abituarsi alla routine e alle esigenze di qualcun altro. D’altra parte Fred sapeva di aver sposato una persona che ammetteva di avere poca predisposizione per le arti domestiche e felicemente ignara di molte “regole” sociali. Ad esempio, quando Fred le parlò di Emily Post, autorità indiscussa in America per le buone maniere, Ruth rimase sbalordita dal fatto che ci fossero davvero libri che ti dicono come ti devi comportare. Fortunatamente ciò che Fred trovava affascinante in lei erano proprio queste “eccentricità”.
La coppia era molto socievole e per molti anni gli amici si unirono a loro in campagna ogni volta che lo desiderassero. Ristrutturarono l’enorme fienile installando camere da letto essenziali, una cucina e un bagno. Più tardi un pittore avrebbe trasformato il soppalco del fienile in uno studio e, per un certo periodo, uno scrittore lavorò in una baracca che si era costruito nei boschi della proprietà. Ruth racconta che i visitatori andavano e venivano continuamente ed erano artisti, scrittori, scultori, danzatori e una sfilza di personaggi definiti “gli stranieri” dai loro vicini. Il via vai era ininterrotto durante l’estate e l’afflusso aumentava durante i fine settimana.
La coppia non chiedeva mai agli ospiti di partecipare alla manutenzione del luogo. Ruth scrive di averne discusso con Fred perché era preoccupata che facendolo i visitatori potessero avanzare poi delle pretese. Questa impostazione non funzionò a lungo. Dopo alcuni anni la situazione cominciò a farsi pesante perché quando qualcosa veniva rotto nessuno si offriva per riaggiustarlo. Ruth fu molto contrariata quando un frequentatore si prese la libertà di montare una zanzariera sulla porta del fienile, lamentando di doversi “prendere a schiaffi” continuamente a causa delle zanzare. Inutile dire quanto le parve buona l’idea, nella primavera dell’ottavo anno, di porre un salvadanaio nella cucina del fienile con un cartello che sollecitava una donazione. Ruth pensò che se ogni ospite avesse messo un centesimo per ogni notte in cui fosse rimasto ci sarebbero stati circa 90 dollari entro la fine dell’estate. La cifra che trovarono fu esattamente di un dollaro e cinquantacinque centesimi. “Quando abbiamo aperto la cassetta la nostra prima sensazione è stata di stupore, poi di indignazione e infine di accettazione”.
Ruth rivela maggiori particolari su quegli anni nel suo secondo libro Company Coming. Six Decades of Hospitality, dove racconta anche di quanto fosse ospitale sua madre. Aperta e onesta nello scrivere, Ruth probabilmente avrà fatto arrabbiare col suo libro parecchi dei suoi ex ospiti, ma vi si legge anche come, alla fin fine, quegli anni di condivisione siano stati un’esperienza che arricchì molto la coppia.
Ruth non esitò mai a esprimere la sua opinione riguardo le persone facoltose. Lei e Fred organizzavano spesso eventi di beneficenza presso la fattoria, ma a un certo punto dovettero ammettere di aver avuto così tante esperienze frustranti con quei milionari – che avrebbero dovuto aiutare nell’organizzazione – da decidere di smettere di impegnarsi. In molti dei suoi libri denigra l’incapacità nelle cose pratiche di coloro che hanno sempre trovato nella vita “la pappa scodellata”: “Per dare aiuto in una qualsiasi situazione che richieda qualcosa di più di sborsare una qualche cifra, non propormi una persona che nella vita non sia mai stata obbligata a guadagnarsi il pane, a conquistare il proprio posto nel mondo” (il corsivo è della Stout). In altre occasioni scrive: “Le persone cresciute negli agi sono completamente cieche di fronte al problema principale che la maggior parte degli esseri umani deve affrontare, cioè di arrabattarsi per trovare cibo a sufficienza per sopravvivere, di avere un fornello per cucinarlo, una sedia su cui sedersi per mangiare e un letto nel quale riposare per conservare le energie e affrontare nella giornata successiva la quotidiana lotta per il pane”.
In uno dei suoi libri Ruth condivide alcune informazioni sul passato di suo marito, che proveniva da una famiglia benestante ed era stato allevato da una “ottusa” governante inglese. La madre di Fred aveva confessato di non avere idea su come allevare un figlio e quindi di non aver saputo valutare quella governante. Fred descriveva suo padre come un uomo di buon cuore, ma non intelligente e che un certo snobismo albergava in famiglia. Ruth dedusse che questo fosse il motivo per il quale suo marito da adulto avesse preso la strada opposta. “Tutto ciò di cui sentiva il bisogno, negli anni successivi, era di entrare in contatto con un operaio che non avesse mai letto un libro per cercare in lui un amico”, scrisse, “o almeno per invitarlo a cena e provare a farne la conoscenza”. Oltre a intrattenere i visitatori e occuparsi della manutenzione della fattoria, Fred trascorse i suoi anni da pensionato seguendo la passione per la lavorazione del legno, in uno studio realizzato in un altro fienile della proprietà.
Dopo la morte del padre, la madre e la sorella più giovane di Ruth, Mary, vennero a vivere in fattoria in un cottage separato. Lucetta Stout fu, a detta di tutti, molto felice con loro fino allo scoppio del secondo conflitto mondiale. Visto il suo odio verso la guerra, come aveva già descritto Ruth “nel suo cuore, nella mente, nelle ossa e nella sua stessa anima”, un’altra tragedia mondiale si rivelò troppo pesante da sopportare. Ruth racconta che dall’oggi al domani sua madre iniziò a dimostrare di non essere più interessata a vivere in un mondo pieno di violenza insensata. Lucetta Stout chiuse le tende del suo cottage, mangiava solo dopo molte insistenze e smise di occuparsi del suo giardino fiorito. Morì cinque mesi dopo e la famiglia, specialmente Ruth e Fred, ne risentirono molto duramente.
Il grande passo avanti di Ruth nell’orticoltura
Durante la seconda guerra mondiale Ruth iniziò un percorso che alla fine avrebbe cambiato completamente la sua dimensione del coltivare. Secondo lei questa nuova visione nacque dal suo carattere impaziente. Ogni primavera era ansiosa di cominciare a piantare, ma tutti gli anni doveva aspettare che il trattorista in conto terzi arasse la terra, poiché “era così che si doveva fare”. Nel Connecticut la stagione di crescita delle verdure è breve e quel costante ritardo sui tempi di aratura risultava assolutamente esasperante. Ruth coltivava gran parte del loro cibo, aveva un grande orto da piantare e smaniava di mettersi al lavoro. Oltre a questo, malgrado fosse in ottima salute, sentiva avanzare l’età (nel 1944 aveva compiuto sessantanni) e la coltivazione convenzionale cominciava ad essere per lei troppo faticosa.
Ci racconta di quel giorno di inizio aprile del 1944 quando, dopo quattordici anni da coltivatrice, andò nell’orto “per versare una lacrima” perché la terra non era stata ancora lavorata con l’aratro e quindi non si poteva iniziare a piantare. Fu allora che si rivolse agli asparagi: “Se non dobbiamo arare per voi, perché dovremmo farlo per le altre verdure?”. Gli asparagi le risposero: “Non farlo e procedi con le piantagioni”. Decise allora di seminare i suoi ortaggi senza aratura e aspettò di vedere i risultati. Ruth scoprì così che le verdure e i fiori annuali possono prosperare senza alcuna lavorazione della terra: tutto ciò di cui c’era bisogno era la pacciamatura di fieno.
Questa sua prima esperienza ebbe un tale successo da incoraggiarla nel proseguire in quella direzione, ma ci vollero alcuni anni per sviluppare e perfezionare il suo metodo “senza lavoro”.
Nell’orto è nata una scrittrice
Entusiasta delle sue scoperte Ruth decise di scrivere un libro. Inviò una proposta all’editore Scribner, il quale la rifiutò dicendo che a loro l’idea piaceva, ma che c’era già un professore che stava scrivendo un libro sulla pacciamatura.
Ruth ritenne altamente improbabile che quel libro fosse simile al suo e presto ne ebbe conferma: il libro del dottor Pratt della Cornell University non parlava affatto di “orticoltura senza lavoro”. Così decise di pubblicare in proprio e il suo libro uscì quando lei aveva ormai quasi sessantacinque anni. Più tardi scriverà di non sapere come abbia fatto a trovare i soldi per stamparlo e che: “Fred non me li volle dare pensando che fosse una pazzia”.
Fred si sbagliava. Il libro auto-pubblicato della moglie si rivelò subito piuttosto valido, tanto che nel 1955 la casa editrice Exposition Press di New York lo ripubblicò col titolo “How to have a Green Thumb without an Aching Back: A New Method of Mulch Gardening”. Ruth ci racconta che trovò quel titolo piuttosto sciocco, ma che lo approvò. Come autrice volle mantenere il suo nome da nubile, sebbene fosse conosciuta come signora Rossiter dai suoi vicini.
Ecco cosa scrisse a quel tempo del suo primo libro: “Non solo ha venduto diverse centinaia di migliaia di copie in copertina rigida, ma ora che è stato pubblicato anche in brossura se ne vendono molte migliaia in più. E ogni volta che vado in onda e parlo del mio modo di coltivare la stazione radio viene inondata di lettere. Non che il libro sia eccezionale, penso solo che le persone siano felici di sentirsi dire come realizzare qualcosa che desidererebbero fare, pur non avendone il tempo”. Ruth dice di aver ricevuto per svariati anni centinaia di lettere all’anno; quelle che le piacevano di più provenivano da persone molto impegnate dal lavoro o con problemi di salute o da bambini, da coloro insomma che testimoniavano come il suo metodo rendesse possibile coltivare a chi altrimenti l’avrebbe trovato impossibile.
Pochi anni dopo l’uscita del primo libro un altro editore di New York convinse Ruth a scriverne un secondo (“Gardening Without Work”, tradotto in italiano e pubblicato col titolo “L’Orto Senza Fatica. N.d.T.). Ruth disse che sua sorella Mary (che viveva con lei) fece l’osservazione che l’intero metodo era già stato completamente spiegato in circa millecinquecento parole nel primo libro. Ruth si trovò d’accordo, ma l’editore insistette molto sul fatto che sicuramente Ruth doveva aver imparato molto nel frattempo. Dopo qualche riflessione Ruth acconsentì: sì, aveva tante cose nuove da condividere.
Una volta Ruth incontrò una donna che aveva appreso il suo metodo e le domandava se bastasse gettare semplicemente le patate nel prato di casa con l’erba alta e coprirle col fieno. Ruth non aveva mai provato, quindi rispose di non sapere se la cosa potesse funzionare. La donna provò e poi le scrisse: “Non ho mai raccolto patate così buone in vita mia e nemmeno così tante”. Un conoscente di Ruth osservò a questo proposito: “Sai una cosa? Almeno nove persone su dieci le avrebbero risposto che era sbagliato, a meno che prima non ne avessero fatto personale esperienza. Tu invece non trai conclusioni su nulla anche senza averne prove dirette”.
Ruth ribatté: “Beh, cerco di evitarlo perché io stessa denigro le cosiddette autorità che lo fanno continuamente… E poiché sono così contraria alle persone che danno consigli su cose che non conoscono personalmente, sono molto soddisfatta di aver aspettato diversi anni prima di scrivere qualcosa riguardo l’orto coperto tutto l’anno con la pacciamatura”.
Un’altra intuizione geniale fu che usando come pacciamatura il fieno, del quale alla fine si sarebbe nutrito il terreno, avresti ottenuto risultati migliori rispetto a coloro che usano il letame, che rappresenta quel che rimane dopo che i nutrienti del fieno sono stati assimilati dall’animale.
Il suo approccio basato sul buon senso “prova e vedi di persona” lo ritroviamo in una lunga serie di articoli pubblicati sulla rivista Organic Gardening and Farming (dal 1953 al 1971). Questi sarebbero poi diventati il suo terzo e ultimo libro sull’orticoltura: The Ruth Stout No-Work Garden Book (scritto in collaborazione con Richard Clemence).
La vita senza Fred
Dopo una lunga malattia Fred morì nel “Giorno del Ringraziamento” del 1960. Ruth scrisse che Fred trascorse cinque mesi nella tenda a ossigeno, sotto le cure “dell’infermiera più inefficiente del mondo… Io!”. Ricorda come Fred “desiderasse disperatamente di morire e avrebbe potuto chiedere l’eutanasia, ma che dopo essersi appassionato allo yoga pensava che uccidersi fosse sbagliato”.
Ruth scrisse nel suo penultimo libro, I’ve Always Done It My Way, che credeva fosse giusto uccidere solo in due casi: per autodifesa e per misericordia (e che ciò non vale solo per i cani e i gatti, ma anche per le persone), aggiungendo che secondo lei ognuno dovrebbe aver diritto di scegliere come morire.
L’anno della morte del marito segnò la pubblicazione del suo terzo libro, It’s a Woman’s World, con la casa editrice Doubleday & Co., Inc. Altri cinque libri sarebbero seguiti, di cui tre nel suo decimo decennio di vita.
A settantacinque anni Ruth era in ottima forma e aveva ancora davanti a sé molti anni da vivere. Un decennio dopo raccontò l’aneddoto del medico che dopo un controllo le disse, “Bene, sei una 48enne in buona salute”. Ruth aveva 84anni.
In uno dei suoi libri elenca i quattro fattori ai quali attribuisce la sua ottima salute: una buona genetica, il buon cibo, l’esercizio fisico (anche se ammette di non aver mai esagerato e di annoiarsi a passeggiare) e in ultimo, ma non meno importante, l’atteggiamento mentale. Ruth dice che non possiamo fare nulla per la nostra genetica, ma che possiamo fare qualcosa per gli altri tre aspetti, soprattutto per il cibo. Sebbene fosse parsimoniosa, una volta ordinò del buon cibo e su questo scrisse: “…anche le persone seriose e più morigerate dovrebbero permettersi ogni tanto di fare gli spendaccioni quando si tratta della propria buona forma fisica. Inoltre, il cibo costa meno del medico ed è più gratificante”.
Ruth diceva di essere stata fortunata perché mantenere un atteggiamento mentale positivo le risultava facile. “Sono semplicemente una ottimista per natura. Il pensiero piacevole nasce da sé al posto di quello deprimente”. Tuttavia quegli ultimi anni furono un periodo di solitudine. Ruth esprime la sua contentezza per aver avuto nei suoi ultimi anni l’orto, la scrittura e le conferenze, altrimenti non ci sarebbe stato nulla per cui vivere dopo la morte del marito. Trovava di vitale importanza sentirsi utile e dare il proprio contributo al mondo.
Negli anni ricevette più di settemila persone in visita al suo orto, provenienti da ogni stato degli U.S.A. e dal Canada. Ruth ammise di essere stata talvolta disturbata da questi ospiti spesso non annunciati, ma che fu anche felice di riceverli.
Restò a Poverty Hollow con sua sorella Mary, la quale morì nel 1977 all’età di ottantotto anni (vivevano lì insieme da quarantanni). Ruth la seguì tre anni dopo, lasciando questo mondo nel 1980 alla veneranda età di novantasei anni.
Ancora una parola sulla bella, nuda Ruth
La convinzione che fosse giusto assecondare la propria indole, seguire le proprie idee e le proprie passioni è dimostrata dal modo in cui Ruth ha vissuto ed è stata certamente la forza che le ha permesso di concepire un “orto senza lavoro”, oltre a saper poi riportare in forma di libro (di successo) quella sua visione. Ma c’è un’altro aspetto che sta a indicarci come Ruth facesse sempre quel che voleva e questa piccola biografia non sarebbe completa senza parlarne: la sua orticoltura “nuda”.
Ne aveva già scritto in uno dei suoi libri, ma quel giorno nell’orto, nel suo decimo decennio di vita, ne volle parlare davanti alle telecamere nel documentario pluripremiato di Arthur Mokin: Ruth Stout’s Garden (vedi qui nel sito www.ruth-stout.it).
“Amavo molto, moltissimo mio marito. Lo dico davvero e sono sicura che lui sia stato l’unico uomo al mondo capace di resistere accanto a me, perché sono sempre stata sempre fuori di testa, come testimoniano le cose che ho combinato! Andavo nell’orto e appena arrivata là mi spogliavo completamente. Ho sempre amato sentire l’aria sul mio corpo. Non l’ho mai rivelato a Fred, non me la sono mai sentita di parlargliene. Mi rivestivo e rientravo a casa ogni sera verso le 17:00. Un giorno rientrai alle 18:00 e trovai Fred fuori dalla stalla intento alle sue cose (tutti questi oggetti di legno li ha fatti lui, e non solo); poco dopo di me rientrò anche lui e mi disse: “Bene, hai lavorato più a lungo oggi, non è vero?”.
Gli chiesi allora per pura curiosità: “Ma come fai a saperlo?”.
Rispose: “È stato facile: di norma le auto che percorrono la strada dopo le 17:00 scorrono senza rallentare, ma fino a quell’ora procedono molto lentamente per sbirciare nel tuo orto (nel filmato di Mokin qui Ruth ride di gusto). “Quindi ho capito che eri ancora lì fino alle 18:00 perché le automobili continuavano a rallentare”.
In Ruth Stout ho trovato non solo una mentore per la coltivazione, ma anche una maestra di vita. In un secolo difficile per le donne ha perseguito la sua felicità, facendo del suo meglio con ciò che aveva e procurandosi sempre un po’ di divertimento. Per me ha un senso che ci sia voluto qualcuno libero dalle “regole” per immaginare le cose in modo diverso, così da saper creare la scintilla rivoluzionaria della “coltivazione senza lavoro”. Una rivoluzione che riflette perfettamente la sua splendida filosofia: “Se vivi la tua vita ascoltando te stesso, come potrai non trarne il massimo?”.
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