Nell’immaginario collettivo il terreno argilloso è considerato un ostico nemico delle coltivazioni ed è per questo disprezzato dai più. Mi sono apprestato a dissertarne per schierarmi a difesa del Grande Incompreso.
“Pesante”, “fangoso”, “impossibile!”, “pongo”, “cemento”, “pieno di crepe”, “cattivo”, “asfittico”, “difficile”, “impermeabile”, “impenetrabile”. Questi sono solo alcuni dei poco lusinghieri epiteti attribuitigli.
In questo articolo intendo chiarire l’equivoco all’origine della sua pessima nomea e dimostrare non solo che il terreno argilloso è coltivabile, ma che rispetto ad altri tipi di terreno ha addirittura maggior vocazione alla fertilità.
La trattazione dell’argomento specifico si inserisce nel più ampio contesto della credibilità o meno dei dettati della scienza “ufficiale” caratterizzante la cultura occidentale. La marchiatura a fuoco scientifico-nozionistica impostaci sin dal primo contatto con l’istruzione può generare in ciascuno di noi la convinzione che esistano fondamenta “scientifiche” incontestabili sulle quali basare ogni possibile riflessione successiva. Eppure basta gettare uno sguardo al passato per constatare come la scienza “istituzionale” rincorra senza risolverli gli errori commessi dalle generazioni precedenti in ogni campo di applicazione. Potremmo definire questo tipo di scienza come un processo di degenerazione materialista dell’intuito e della percezione, poteri garantiti dalla Natura a ogni essere vivente per mantenere la propria consonanza con la realtà: al contrario di quanto ci insegnano, la scienza materialista non spiega la Natura, ma ci aliena da Essa.
Le scienze agronomiche non si sottraggono da questa involuzione e affermano una visione iper-materialista per la quale il terreno agricolo, al contrario di quello naturale, è un luogo minerale disabitato: Marte sulla Terra. Alla scuola agraria mi hanno insegnato a tener conto solo degli aspetti meccanico-chimico-fisici della terra e non dell’energia vitale dei suoi legittimi abitanti.
Secondo la mia reiterata esperienza, in Coltivazione Elementare la vegetazione trova invece il sostentamento che le serve per una vita sana solo se il terreno è formato dall’unione della componente materica con quella energetica; al di fuori di questa condizione per far crescere una pianta dal seme al frutto si è obbligati a intervenire con mezzi artificiali, cioè con quelle pratiche agricole che uccidono la parte viva del suolo riducendolo a un substrato inerte, in un ciclo infinito di cause evitabili, rimedi inadeguati ed effetti disastrosi.
Anzitutto bisogna distinguere tra “argilla” e “terreno a prevalente componente argillosa“.
Dove l’argilla è allo stato puro essa diventa oggetto di escavazione, come avviene ad esempio nelle famose cave dell’Impruneta. Questa argilla pura viene utilizzata da millenni per la produzione di vaserie, tegole, mattoni, mattonelle e altri mille manufatti.
La definizione “argilloso” riferita ad un terreno coltivabile non indica l’argilla pura, bensì la prevalenza dell’argilla (non al di sotto del 18%) rispetto alle altre componenti, come sabbia, limo e sostanza organica.
La seconda necessaria distinzione è tra il terreno argilloso nella sua naturale complessità e come si riduce dopo le lavorazioni. Quando in agricoltura si porta l’argilla come esempio di terreno ostico alla coltivazione, che si crepa da asciutto e si riduce a fango da bagnato, in realtà ci si riferisce alle condizioni alle quali l’agricoltura lo ha ridotto con le lavorazioni e le irrigazioni. Stagione dopo stagione, i tanti secoli di lavorazione hanno compromesso la vera natura del terreno argilloso inducendo l’attuale grave fraintendimento sulle sue reali qualità.
Il terreno a componente prevalentemente argillosa, a differenza di altri tipi di terreno, è caratterizzato da una struttura coesa che rende possibile la perfetta unione tra la componente minerale e quella organica. Per approfondire questo aspetto – e comprendere perché il terreno argilloso non debba mai venir lavorato per dare il meglio di sé – occorre introdurre il concetto di “stato colloidale”.
I vari tipi di terra vengono classificati in base alle dimensioni dei granuli che li compongono e i granuli dell’argilla sono i più piccoli fra tutti, inferiori a 2 μm di diametro. In ragione della estrema finezza granulometrica, l’argilla più degli altri tipi di terreno presenta i minerali che la compongono in una particolare forma di aggregazione, definita “colloidale”. Dato che anche la sostanza organica si aggrega allo stato colloidale, tale comune condizione rende potenzialmente possibile il processo naturale di congiungimento tra questi due mondi apparentemente inconciliabili: la morbida e mobile materia organica con la dura e inerte materia minerale.
Sia i colloidi minerali che quelli organici presenti nel terreno posseggono però una valenza elettrica negativa che li respinge gli uni dagli altri; perché essi possano unirsi invece di respingersi è necessario che il terreno sia umido in modo naturale, senza intervento umano. Nel terreno umido sono presenti, in equilibrio con le altre componenti, molecole di acqua e in H2O gli elettroni dell’idrogeno, cioè le valenza negative della molecola, sono attratte dal nucleo di ossigeno in modo tale che i due poli elettropositivi restino liberi e possano catturare i colloidi sia minerali che organici, facendoli convivere l’uno accanto all’altro malgrado le loro valenze elettronegative.
L’umidità apportata dall’acqua irrigua, non essendo acqua pura come l’acqua piovana, impedisce la coesione dei colloidi ed è causa del loro dilavamento. Essa infatti contiene elementi con numerose valenze elettriche positive capaci di “agganciare” e trascinare con sé nelle profondità del suolo i colloidi minerali e organici, annichilendo la fertilità dello strato superficiale della terra coltivabile. Per questo motivo l’irrigazione tanto necessaria in agricoltura è una pratica deleteria. Il motivo per il quale i colloidi organo-minerali non vengono trascinati in profondità dal passaggio dell’acqua piovana è che essa, essendo pura, ha una forza d’attrazione minore rispetto ai minerali con valenza elettropositiva presenti nel terreno, come ad esempio Ca, Fe, Mg, Al, capaci di trattenere negli strati superficiali coltivabili, in virtù della propria forte elettropositività, i colloidi organo-minerali elettronegativi.
La particolare e specifica caratteristica del terreno a prevalente componente argillosa è quindi di essere costituito da una articolata struttura colloidale, che lo mantine molto fertile a patto che non venga lavorato ed irrigato.
Le lavorazioni e l’irrigazione destrutturano la sua natura scindendo il legame colloidale e disperdendo le componenti organiche e minerali: ciò avviene perché la coesione a bassa energia delle particelle colloidali che formano il suolo è estremamente labile. Per annientare il lavoro della Natura basta il susseguirsi di poche lavorazioni, anche di quelle ingannevolmente definite “soft”.
La Coltivazione Elementare, rispettando in toto i processi naturali nel terreno, valorizza le potenzialità dei terreni a prevalenza argillosa e ne mantiene inalterata la struttura. La terra argillosa assecondata nella sua natura non presenta crepe o ristagni ed è molto accogliente, laddove una sorte esattamente contraria tocca a chi si ostina a lavorare la terra. Se consideriamo il terreno argilloso per quello che è in Natura, cioè un organismo dinamico vivo e non un modello statico privo di vita, possiamo comprendere come esso si sappia adattare in tempo reale alle condizioni atmosferiche esterne, dilatando la propria struttura per far defluire l’acqua piovana e restringendo la struttura nei periodi siccitosi, così da mantenere inalterata e stabile l’umidità.
Qualora dopo aver raggiunto un certo grado di fertilità grazie alla Coltivazione Elementare dovessero riprendere le lavorazioni agricole la terra argillosa si ripresenterebbe dura come un laterizio o ridotta a fango.
Dopo aver chiarito i motivi per i quali il terreno argilloso può essere considerato il miglior terreno per la coltivazione, possiamo aggiungere che per le stesse ragioni esso è anche il meglio predisposto a ritornare fertile in breve tempo, fosse anche stato martoriato da anni o secoli di lavorazioni, seguite magari da abbandono.
Le pratiche agricole annichiliscono rapidamente la vita del terreno, ma in virtù della capacità di ricostruzione della propria matrice minerale e organica colloidale la terra argillosa in primis e qualunque altra tipologia di terra a seguire sono sempre pronte a ricreare le condizioni di fertilità naturale: basta dargliene la possibilità.
All’inizio della Coltivazione Elementare i terreni argillosi impoveriti da precedenti interventi agricoli distruttivi (anche se lo stato di abbandono risale a decenni prima) fagocitano rapidamente la pacciamatura, segno di una reazione viva mirata alla riacquisizione della componente organica sulla via della ritrovata fertilità. In seguito la fame bulimica rallenterà e si normalizzerà.
Con le pratiche alla base della Coltivazione Elementare anche i terreni poco argillosi possono avviare processi di organicazione e diventare fertili, però richiedono più tempo in ragione della minor percentuale della fine componente argillosa, la meglio predisposta alla formazione di colloidi. Tuttavia, adottando la Coltivazione Elementare i terreni sabbiosi, come del resto tutte le altre tipologie di terreni, possono modificare la propria struttura e formare colloidi organo-minerali grazie al lavorìo della nuova vita che li colonizza, tanto da raggiungere un ottimo stato di fertilità che nulla ha da invidiare al terreno argilloso.
Il terreno argilloso viene comunemente definito “pesante” e “compatto“: l’aggettivo “pesante” si riferisce alla difficoltà di lavorazione; “compatto” è invece una caratteristica relativa alla sua coerenza strutturale.
Al contrario il terreno sabbioso è definito “leggero” e “sciolto“: anche in questo caso “leggero” si riferisce alla facilità con la quale può essere penetrato e rivoltato da un attrezzo agricolo, mentre “sciolto” si riferisce all’incoerenza strutturale dei granelli di sabbia dai quali è prevalentemente composto.
Questi termini sono fortemente fuorvianti in quanto:
– Il termine “pesante” riferito allo sforzo fisico per la lavorazione del terreno argilloso non descrive una sua qualità intrinseca, bensì lo stato nel quale il terreno si presenta dopo essere stato lavorato e quindi destrutturato.
– grazie alla maggiore porosità e alla natura chimica e mineralogica proprie della sua struttura, il terreno argilloso ha una densità inferiore rispetto ai terreni sabbiosi; infatti le particelle che lo compongono, più fini della cipria, consentono una strutturazione colloidale facilitante il passaggio di molta più aria, il che in assenza di lavorazioni lo rende “leggero“.
Paradossalmente il terreno argilloso si può dunque descrivere come leggero e compatto, mentre il terreno sabbioso come sciolto e pesante.
I terreni argillosi sono i più comuni in Italia, da sud a nord, nelle pianure e sui rilievi montuosi. Far conoscere una realtà diversa e stimolante nei loro confronti significa incoraggiare la coltivazione mirata all’autonomia alimentare, anche in quelle realtà rurali dove la natura della terra appare ostile.
Testo e foto di Gian Carlo Cappello e Mara Lilith Orlandi. ©Tutti i diritti riservati. Vietata la riproduzione.